Suor Benedetta dell'Annunciazione


Scegliere la prova
è stupidità,
accettarla
è santità.



“No, no! Non può essere vero!
È soltanto un incubo, un brutto e terribile sogno!
Non è possibile che sia vero!”
Ma per Suor Benedetta quella notte non era sol tanto una
sua impressione; era anche una realtà che le si stava via via
rivelando, dentro di sé, attraverso quel tormento fisico e spirituale
che prima di allora non aveva mai sperimentato. Non
era un male, ma molto di più: un senso continuo di nausea di
sé, un’impossibilità a trattenere fermo il proprio corpo, un
sempre più diffusa insoddisfazione totale, che coinvolgeva
tutta quanta la sua persona. Suor Benedetta non poteva fare
a meno di rigirarsi nella sua brandina ormai inzuppata dal
sudore, alla ricerca di un attimo di quiete; ma ogni movi -
mento non provocava altro che un più intenso senso di sconforto.
Ed ora, anche i pensieri che affioravano venivano rivestiti
di questa atmosfera di morte: che significato l’essere
suora, che senso la vita stessa?
Che importanza hanno le cose e le persone adesso che si
sente la vita appesa ad un filo... tutto inconsistente?
Cosa si ha in mano, materialmente, adesso?
Quali risultati? Quali frutti di tutto l’agire? Zero! Tutto
svanisce adesso! Il senso di morte si avvicinava sempre più,
e suor Benedetta non se la sentiva proprio di bene dirla; tentava
di trovare una posizione nella brandina che le permettesse
di chiudere finalmente gli occhi, o per dormire, o anche per
morire. Ma dopo solo un attimo il dolore fisico e lo sconfor -
to morale la risvegliavano e non le permettevano alcun tipo
di riposo. Non le pareva proprio possibile di sperimentare
quella situazione; e allora pensava al fatto che poteva essere
un sogno, che sarebbe prima o poi svanito, lasciandola in
pace. E così, pensava al da fare all’indomani... Ma ogni pensiero
veniva drasticamente rovinato dal suo star male.
Si chiedeva allora da dove fosse provenuto all’improv -
viso un tale male; cercava le cause nel cibo della sera, nella
tensione della giornata trascorsa, nell’aver lasciato qualcosa
fuori posto, nell’aver tra scurata qualche sorella, fatto che ora
le procurava tutta questa situazione... Ma nessuna di queste
era la risposta, non v’era dubbio. E allora? Si sentiva rodere
dentro, fisicamente, quasi che il suo corpo si stesse consumando
da sé, senza che lei ci potesse fare nulla; ma il peggio
era che anche la forza di sopportazione stava venendo
ormai meno, lasciando spazio sempre più soltanto a tristezza
e sconforto. Si asciugava il sudore della fronte, mentre
sentiva gli occhi appesantiti e gonfi di apprensione; ogni
tanto si metteva seduta sulla branda, accomodando alla
meglio le lenzuola, rigirando il cuscino bagnato, mentre
aveva già gettato per terra la coperta che, a causa anche del
caldo, pareva la schiacciasse sotto un peso insostenibile.
Osservò ancora una volta, quasi sbadatamente, l’orario; era
ancora notte fonda, il tempo sembra va deciso all’immobilità.
Avrebbe voluto chiedere un po’ di aiuto, ma era troppo
tardi per chiamare qualche sua consorella; e poi, sarebbe
stata una vergogna, non riuscire a sopportare un momento di
difficoltà da sola. Già, ma quello le pareva la morte in persona,
lì davanti, a sfidare una suora che aveva già desisti to
da ogni combattimento e ora attendeva soltanto il momento
della resa. “Se dovessi morire proprio ora, in questo preciso
istante, che cosa lascerei agli altri? Per che cosa mi ricorderebbero?”.
Pensava al fatto che i parenti avrebbero ereditato ben
poco da lei; e che forse proprio per questo di lei si sarebbero
solo lamentati e presto anche scordati; e le sue sorelle: le
sue suore? Come l’avrebbero presa questa morte? Un poco
di lacrime, beh, sì; almeno alcune, avrebbero pianto. Quanto
all’eredità spirituale, ecco... Pur cercando qua e là, nulla
emerge di consistente da poter lasciare; anzi, proprio ora,
ogni attività, tanto spesso elogiata, perde di significato, di
portata, sembra proprio essere stata poco utile, se non inutile.
Il senso di dolore ormai insopportabile ora costringe suor
Benedetta a girare avanti e indietro, passeggiando dolorosamente
e cercando di fare il meno possibile rumore, per non
svegliare chi dorme nelle cellette accanto.
“Ma cosa mi resta allora...? Cosa sono io, in fin dei conti?
Una nullità? Ho proprio sbagliato tutto nella vita?”.
Ed ora in lei lo sconforto pare avere il sopravvento sul
male fisico, e la suora barcolla nei suoi ideali, nelle idee ed
esperienze che finora l’avevano sostenuta; è la notte della
sfida, della prova, del fuoco; ma questo è troppo, forse. Non
si è mai sentita così sola, senza più possibilità di aggrapparsi
a tutto ciò che finora era parso sta bile e sicuro.
Ritornano le domande dell’amarezza, in modo sempre
più provocatorio e demolitore; lei vorrebbe dimenticarsi,
lasciare il corpo e lo spirito, essere il nulla.
“E il tuo Dio, dov’è finito; Lui, il senso della tua vita?”.
Già, quel Lui per il quale hai gettato via tutto, dov’è?
Sposo, dove sei?
Come si può essere sposati in questo modo assurdo? Tu,
proprio tu del quale ero innamorata persa, per il quale ho
combattuto, prima di fronte ai genitori insensati che non
comprendevano la mia scelta; poi di fronte a coloro che non
conoscendoti ti negavano o insultavano... Ora, Dio mio,
dove sei? Adesso che dovresti essere qui accanto a darmi
aiuto, dove sei andato? Sì, c’è più bisogno altrove, non devo
guardare solo a me stessa, me lo son detto per tutta una vita...
Ma ora è troppo per me, se le cose stanno così, non ce la faccio
più! Eh, la fede! Cose troppo in alto, troppo fuori dalla
mia portata, troppo lontane da questi momenti, nei quali o
c’è o non c’è quello che ti serve. Dio mio!
Anche tuo Figlio sulla croce ti ha imprecato! Permetti che
lo faccia anch’io! Sì, sì, la mia scelta non dovrebbe farmi
dire ciò... Ma ciò che conta adesso salta fuori, non posso
nascondermelo: sono confusa e persa in questo dolore! Dio
mio, fatti sentire!
“Piantala, imprecatrice!”.
Vorrei ora recuperare i momenti belli, di gioia, della mia
professione, l’entusiasmo, la forza che mi ha sempre animato,
ma... Ora sono sola, senza incentivi e aiuti, senza altri che
mi accompagnino in questa esperienza: solo io. Comprendo
di valere sempre meno, ogni momento che trascorro in questa
notte, dove tutto appare nero e la speranza si affievolisce.
E adesso vedo che la mia speranza non eri proprio soltanto
Tu, Signore, ma altre cose e altre persone, e altri idea li, che
ora sono tutti caduti di fronte al mio star male, maledettamente
male! Se anche solo avessi un poco di sollievo! Ma
sarebbe chiederti un segno, ciò che non devo mai fare, ciò
che mi porterebbe non più a Te ma sol tanto a me stessa... Ma
tutto questo dolore è troppo forte, non so fin dove arriverò
nel mio resistere. Pregare?
Non ce la faccio proprio, non me la sento; e pur vedendomi
ogni attimo di fronte la possibilità della fine, non riesco
proprio a pregare, ad essere in clima di serenità per farlo.
Occorrerebbe almeno un poco di serenità e di calma, poi
potrei forse ini ziare, tentare. Non mi sento preparata a questo,
Signore. Dio mio! Passi questo male!
Ora suor Benedetta è sola con se stessa e con il proprio
atroce silenzio; i suoi occhi fissano sulla parete le ombre
disegnate dal pallido chiarore della luna; quella luna, che un
giorno l’aiutava a pregare, a cantare e a lodare, e che in questa
notte appare lì a testimoniarle soltanto la fine: la fine di
tutto: di sé, dei suoi ideali, dei suoi progetti, la fine di Dio.
Nella sua provata sopportazione la suora tace, non ha più la
forza di pensare e di parlare; solo il triste e lugubre silenzio
della notte del male le fa eco. Trascorre, così immobile, qualche
attimo, che le concede l’illusione che tutto stia finendo,
ma poi tutto torna come prima; e lei vorrebbe piangere, a
dirotto, sfogarsi, ma la rabbia di non riuscire ad essere se
stessa non le permette di farlo. Ed ecco riapparire la fila dei
pensieri e dei mali, che ora, rinforzati, si preparano ad un
nuovo attacco.
“No! Basta!”.
Quasi un grido, soffocato nel cuscino, poi il lasciar si
andare, sconfitta, incapace di trattenersi, di resistere; è stremata,
la notte l’ha quasi completamente penetrata.
“Ma come... Dio, no, non puoi essere così!”.
È Lui, il suo Dio, che le ha fatto sentire la sua presenza,
mentre tutto appariva ormai finito; e lei si attendeva la salvezza,
l’aiuto sperato e atteso. Ma Dio le ha detto un’altra
cosa, le ha chiesto ciò che lei mai si sarebbe aspettata da Lui,
le ha pro posto il tutto, la disponibilità totale. Ma com’è possibile,
in questa situazione di assurdità, che Tu, Dio, mi chieda
addirittura ciò? Io mi aspettavo la salvezza, che Tu mi
togliessi da questa situazione, e Tu invece... Mi chiedi di
accoglierla, di non far nulla per evitarla, di non preoc -
cuparmi di essa, ma di attendermi da Te qualcosa di più
grande, che Tu hai in progetto di dare a me e all’umanità, nel
tuo misterioso progetto d’amore, attraverso questa esperienza
che continua. E non riesco a dirti di no, adesso, perché so
con certezza che sei Tu a chiedermelo, e sei Tu che invogli
la mia fede; ma c’è ancora tanta paura. Se però, nei tuoi disegni,
questa prova ha significa to, anche se io non la comprendo,
ti dico: sia fatta la tua volontà.
Te lo dico tremante, ma non mi tiro indietro: se Tu vuoi
che sia così, sia!
E adesso comprendo che sei tu a dirigere tutto quanto, e
che per Te la cosa più importante non è la prova in se stessa,
ma la mia disponibilità ad assumerla; saresti capace anche di
non farmi vive re questa prova, ma di lasciarmi sempre nella
disponibilità ad assumerla. Già, chi potrebbe comprendere
questi tuoi disegni?
Suor Benedetta ha accettato la sfida di Dio: ora è Lui che
dirige tutto quanto, permettendo anche che il male faccia il
suo corso e coinvolga fino in fondo questa suora dell’ordine
dell’Annunciazione, per mettendo che essa sia travolta e provata
fino in fondo; ciò che suor Benedetta ora sa, è soltanto
una cosa, la più necessaria: tutto ciò avverrà rien tra nel piano
di Dio, fa parte del patto con Lui, rientra nella sfida che lei
ha accettato da Lui.
Ora è l’alba; la suora riprende il suo lavoro nel convento
e nel mondo; il male della notte sembra essersi un poco dileguato;
ma c’è sempre, da parte di suor Benedetta, un atteggiamento da curare:
 la sua disponibilità alla volontà di Dio;
anche là dove essa si manifesta nelle situazioni simili a quelle
della notte appena trascorsa.
“No, la paura del male non è scomparsa da me; ma in me
esiste, prima, la certezza di un Dio pre sente, che mi aiuta a
vivere anche questo male. Avrei potuto lottare con tutte le
forze contro questo male, ciò sarebbe stato umano e ragionevole;
ma Dio, allora, mi propose una pazzia: di ragionare
come Lui, di ragionare oltre gli schemi umani, ed assumermi,
liberamente, la prova intensa del dolore, pensando prima
di tutto non a debellarla, ma ad accettarla. Sapessi, dopo tutti
questi anni di sofferenze, quanta grazia ho trovato! La mia
sofferenza ce l’ha in mano Lui, è nel suo destino, e quindi
continuo, fin quando Lui vorrà, secondo la sua volontà.
Curarmi? Certo che lo faccio, ma so anche che Lui sta permettendo
che ogni cura su di me poco valga, perché molto
valga, anzitutto, la sua grazia. Contenta? No di certo; direi
invece serena, molto serena; noto che nascondere tutto ciò
agli occhi degli altri costa, e anche a me stessa; ma questo
disegno misterioso sento anche che si va realizzando, per me
e per tutti, e quindi, finché ci riuscirò, con la sua grazia, continuerò,
finché Lui dirà. Cosa sto scoprendo? Come dicevo
prima, un’infi nità di grazia; e poi anche il fatto che sei
amata, e che non sei tu ad amare.
Scopro che è l’Amore che mi viene incontro con Tutto se
stesso, e ciò mi arricchisce più di ogni cosa; la mia prova è
la garanzia, la possibilità, la via per giungere meglio a tutto
ciò; è un dono il poter vive re in essa.
Cosa mi attendo ora da Dio? Che mi chieda tutto, se
ancora non l’ho dato”.