Il poco dell'uomo e il tutto di Dio

“Cinque pani e due pesci,
che sono per tutta questa gente?
Portatemeli qua”.

L’uomo ha tra le mani il suo poco; un poco che alcune

volte egli ritiene essere il tutto, altre volte considera un

niente... Rimane un poco, come i cin que pani e i due pesci.

Il poco possono essere realtà positive: la fede, l’e -

sperienza, la vita stessa; possono essere le realtà negative

quali: le carenze, i problemi, le cose da sistemare e da fare,

gli inizi. In mano dell’uomo c’è il poco, mai il tutto. E

l’uomo, che porta tra le mani della vita il suo poco, spesso

rimane attaccato ad esso, ad esso si vincola e si aggrappa,

ritenendolo importante e condizionante, sia esso ritenuto

il tutto o il niente per lui. A questo poco l’uomo si

attacca volentieri; anche noi siamo lì, con il sacchettino

del nostro poco, tra la folla di quel Dio che moltiplica...

per tutti, e ne avanzò anche! E che fa questo Dio?

Per moltiplicare, chiede il poco dell’uomo, chiede il

sacchettino dei pochi pani e pesci; chiede, in pratica, di

dargli anche quelli, di non tenerti nemmeno quello “stretto

necessario”.

È un Dio che certo dona abbondanza, ma che prima ti

toglie tutto quanto; se gli dai tutto, quel niente tutto diventerà;

se ti tieni stretto il tuo poco, a poco ti varrà.

È la mossa segreta del dividere del seguace di Cristo:

non condividere il poco che hai, come par rebbe logico e

comprensibile fare, non spezzare il pane con i tuoi simili,

non aiutarli in questo modo, come invece potremmo giustamente

pensare, no, no...

Il segreto dell’abbondanza sta nella rinuncia tota le, nel

metterti anche tu che avevi poco a non avere più del tutto,

per darlo a quel Dio che solo con la tua collaborazione

diverrà il Moltiplicatore, l’abbondanza, la pienezza.

Se spezzi il tuo poco, condividendolo con gli altri, certo

non farai mai male; ma perché limitarsi a ricevere tutti

delle briciole, quando è possibile avere pane in abbondanza?

Ecco il segreto dell’abbondanza, dell’intensità della

moltiplicazione: rinunciare al tuo poco, per metter lo nelle

mani di Dio, che lo trasformerà in abbon danza per te e per

tutti. Porre quel sacchettino, al quale eri legato profon -

damente, che era il tuo cibo, necessario, indispen sabile

anzi, metterlo ai piedi di Dio, slegandoti da ogni legame

con esso, da ogni possibilità di gestir lo per te e secondo le

tue intenzioni. E finché questo sacchettino dei pani e dei

pesci con tiene delle realtà negative: preoccupazioni, problemi,

carenze, difetti, ossessioni... Finché si tratta di

lasciare queste, il discorso potrebbe anche essere compreso,

in fin dei conti; ma quando esso diven ta esigente,

quando ti chiede di lasciare quel poco che è positivo: i tuoi

progetti, le tue attese, le realtà che hai, ciò che sono le tue

convinzioni, la tua stes sa fede... Sì, pure quella, perché sia

moltiplicata... Beh, qui occorre un atto di fiducia di non

poco conto; c’è da mettere in gioco la stessa vita.

Lo faresti ancora, a questo punto, quando la stessa

ragione dice: guarda al concreto, tieniti stretto ciò che hai,

non rischiare di lasciare questi beni? Eppure Dio chiede

quei pani e quei pesci... Proprio i tuoi, in quel momento; ti

chiederai: perché pro prio i miei, perché non quelli degli

altri? Perché proprio queste poche cose gli occorrono?

Non riesce a fare da sé?

Non ce la fa a risolvere le cose senza chiedermi questo?

La tentazione di nascondere quel poco, di far finta di

niente, è forte: mangeremo questo poco dividen docelo tra

noi, amici! E gli altri? Beh, per tutta questa gente non

sarebbe certo ugualmente bastato...

Dio tende le sue mani, perché gli si offra quel poco.

Dio, questo poco ci serve! Come faremo senza di esso a

tirare avanti? Dare a Dio anche quel poco? Cosa ci resterà

in mano, poi? Tu avrai tutto solo se non ti legherai a

nulla, solo se sarai disponibile a dare anche quella piccola

parte che ti restava, necessaria, utile e sicura, offrendola a

Dio. Che ti gioverebbe aver condiviso anche per tutta la

vita quel poco, per darne un po’ a tutti, impe gnandoti e

cercando in tutti i modo di migliorare le cose, spezzando

quella poca realtà con gli altri, dandone un po’ a tutti,

mentre prima o poi essa si esaurirà e saremo daccapo, con

gli stessi problemi? Che ti giova aver spezzato quei pochi

pani e pesci con gli amici, ora che adesso tutto il problema

della fame riemerge?

Ma - dirai tu - non solo ho spezzato il pane con loro, il

mio pane, ma ho anche fatto di più: ho insegnato loro a

produrre pane! Non è abbastanza?

No, è ancora troppo poco, il poco del sacchettino... del

tuo sacchettino: è una bella opera, non però l’ottimo; è

un’opera umana, di te, e quindi limita ta; non è ancora

l’opera di Dio, l’abbondanza. Perché lo sia devi lasciare il

tuo poco nelle sue mani; forse non hai sentito bene queste

ultime parole: nelle sue mani!

Solo allora sarà possibile la moltiplicazione, quella di

Dio; altrimenti, certo non sarà un male, ma sarà la scelta

di ridursi a sommare, da poveri uomini, che non hanno

saputo profittare della ricchezza di Dio.

Perché continuare a fare del bene a briciole, quan do il

Signore offre la possibilità del pane in abbon danza, gratis,

per amore? Perché immergerci in tanti sforzi umani, pur

meri tevoli, ma che ti esauriscono e ti fanno perdere serenità,

mentre potresti rivestire i tuoi atti dell’a more, cioè

dare il sacchettino nelle mani di Dio, che ti ridona le ceste

piene? Perché fare ancora da sé il bene, mentre il bene è

l’Amore? Perché costruirlo, pur con le più buone intenzioni,

mentre c’è già e si tratta solo di imparare a tra -

smetterlo? Perché fare cose piccole, mentre Dio ci chiede

di fare cose grandi ed eterne?

E succede che allora, anche se la religione è una bella

cosa, la si è ridotta ad un religioso umanesi mo, che poco

ha a che fare con l’Amore, con Dio. Facciamo bene, ma

non facciamo il Bene. Siamo buoni, ma senza vivere nella

Bontà. Dio c’entra sempre meno, nella nostra esperienza,

con i nostri calcoli e i nostri resoconti e progetti di bontà

umana. Ma come, non è bene darsi da fare per gli altri? Sì.

Ma allora? Occorre partire dall’offerta del sacchettino.

Senza lo svuotarsi dei nostri anche più degni pro getti, ma

pur sempre nostri soltanto, non ci sarà azione d’Amore,

ma solo un primo lontano gradi no che porta ad Esso: semplicemente

aiuto, condi videre umano, simpatia, pietà

umana... Che non coinvolge Dio, lo lascia in pace, là, nella

sfera del l’astrattezza e dell’inconsistenza. Oggi tante attività

religiose stanno perdendo della loro anima, della fede:

di Dio. Sì, a parole Dio è dappertutto; ma poi, quando arrivi

a vivere l’esperienza che ti viene proposta, Egli non c’è;

è diven tato l’assente, mentre emerge il problema umano, o

le cose da fare, o un certo modo di pensare e di pregare,

ma non Dio. Una preghiera per la preghiera; una religione

a forza minima, dove l’annuncio esplosivo di gioia di

Gesù Cristo è divenuto lontano e sconosciuto. Che sia proprio

Lui, Gesù, l’illustre sconosciuto del cristianesimo?

Abbiamo preso la scorciatoia, pensando di arriva re

prima e meglio; un tempo, dall’uomo si partiva e si andava

a Dio, certi che si sarebbe giunti meglio all’uomo; ora,

dall’uomo all’uomo, direttamente, con risultati certo più

concreti ed efficaci. Si è preferito dividere il contenuto del

sacchettino con gli amici: più rapida ed efficace come

soluzione. Ma ora che i risultati emergenti si rivelano

essere soprattutto briciole, ecco riemergere con più chia -

rezza la validità del percorso più lungo, che coin volgeva

Dio; ecco il bisogno di Lui, non tanto per le soluzioni, ma

per il modo di gestire i problemi; ecco riscoprire il bisogno

del mettere, nel fare, l’anima dell’essere.

Ecco riemergere, da dove lo si era celato, il bisogno

dell’esperienza di Dio per rendere profondamente valida

ogni altra realtà.

L’uomo di oggi è ancora lontano da Lui; ma già l’avvertire

il problema è la via che, percorsa, lo avvicina a Lui.

Il poco dell’uomo ci permette di continuare a vive re, di

sussistere ancora, di sopravvivere; il sacchet tino con dentro

il necessario ci permette certamente di non morire; ci

siamo dimenticati però che più di questo l’importante è

vivere, gustare la vita; il Dio moltiplicatore del nostro

poco ce lo richiama.

Quanta gente che incontriamo, che si accontenta di

poco, e si chiude in questa pochezza, mentre Dio sta

offrendo il tutto, la pienezza!

E solo dopo, quando i pesci puzzano, perché è da tanto

che sono chiusi lì dentro, quando il pane è troppo duro

anche per poter essere mangiato ed è divenuto una muffa,

ecco che allora si cerca, là dove mai fino ad allora si era

cercato. Dio moltiplica, per noi stessi e per gli altri, il poco

che gli offriamo. Dal “poco di buono”, al “tutto della grazia”:

ecco che cosa Dio ci sta chiedendo.

Scopriamo, adesso, la sana pazzia di quei folli che tutto

hanno lasciato di sé, tutto quel loro poco, per lasciarsi

afferrare dall’abbondanza della grazia; scopriamo l’essere

capaci di fare poca cosa, in confronto alla realtà più

importante: essere capaci di offrire.

Facendo, si rischia di fare soltanto; offrendo, si è certi

che Lui fa, e si diventa capaci di ricevere e di donare.

L’anima... Sì, proprio quella manca: rivitalizzare le

cose, le persone, gli avvenimenti e, prima di ogni altra

cosa, noi stessi, la nostra anima, che ha perso la vita della

fede, Dio stesso.

L’Anima Maiuscola, non quella minuscola, riferita

all’uomo e alle proprie realtà; quella Originaria, che trasmette

tutto. Si tratta allora di recuperare la fede, non per

viver la di più, ma meglio; salire i gradini, non restare

seduti e sdraiati al primo. Il tutto di Dio viene dato attraverso

coloro che non hanno più nulla; non a coloro che

tutto gettano via, intendiamoci, no; a coloro che sanno di

poter contare su tutto senza attaccarsi a niente, mai... nemmeno

al proprio niente. Il poco dell’uomo, anche se sfruttato

fino in fondo, conduce inevitabilmente al nulla, quello

negativo: vuotezza di significati, perdita del senso profondo,

del gusto; diventa il nulla che impoverisce sempre

più, che rende sempre meno, che ti priva, a poco a poco,

anche di te stesso e della tua identità.

Il poco gettato nelle mani di Dio, offerto a Lui, al

momento pare divenuto nulla, ma questo nulla ti permette

di aprire te stesso a tutto, a ciò che Dio stesso ti dona come

cibo: Se stesso; è il nulla della disponibilità, del non essere

attaccato mai a nulla, nemmeno al nulla.

Ridonando a te, questo atteggiamento di disponi bilità a

tutto ti permette che tutto passi, attraverso di te, verso gli

altri, senza mai fermarsi alla tua persona, che rimane sempre

libera da ogni tutto, da ogni poco e da ogni niente,

disponibili sempre più alla grazia di Dio.

E a volte, questa grazia sarà tutto, altre volte sarà poco,

altre sarà il niente; ma, l’importante, è restare sempre nella

disponibilità a lasciare ogni situazio ne, per mostrare che

solo una Situazione esiste: Dio. Ed eccoci qui, in un

monastero di clausura, in uno dei luoghi dove le pazzie di

Dio giocano “brutti scherzi”; uno di questi luoghi spesso

dimenticati dagli uomini per il loro vero significato, ricordati

e ammirati solo per le opere artistiche che dietro quelle

mura spesso vi si possono trovare, al massi mo un po’

invidiati perché lì quella gente vive indi sturbata e lontana

dalle noie e seccature dei pro blemi quotidiani, immersa in

luoghi spesso a con tatto con la natura, della quale tutti

oggi sentiamo il bisogno; spesso ci si lamenta di questi

pazzi: che ci fanno lì a pregare, con tutto il da fare che c’è?

Perché non escono un po’ ad aiutare i loro amici in difficoltà?

Possibile che non vedano tutti questi bisogni urgenti

che li chiamano in causa? E che ci stanno a fare lì rintanati?

Non si accorgono che stanno sprecando non solo

l’occasione di aiutare gli altri, ma la loro stessa vita?

Queste domande, tanto frequenti, non trovano spes so

risposte profonde e si perdono in un “Mah!” di compassione

e commiserazione, poi si torna alla vita di sempre; e

anche questi interrogativi si perdo no nella mischia delle

cose da fare, sommersi dagli altri problemi, dalle questioni

“più importanti”. E la moltiplicazione continua, attraverso

di loro, attraverso quei folli che, pensando di tenersi

il cestino del necessario per sopravvivere, un giorno se

lo sono sentiti richiedere da Dio, e non gli hanno detto di

no; ed anche oggi, offrono, pongono di fronte a Dio il

poco, il tanto, il nulla, tutto ciò che hanno, perché Egli lo

moltiplichi per loro e per tutti; e gli altri? Sommano; addizionano...

Non pensano alla moltiplicazione, perché,

secondo i loro “calcoli”, quella non è un’operazione da

fare, in questo momento. Somme e sottrazioni, niente

moltiplicazioni... Cercate altri pesci, altri pani, mettiamoli

insieme, vediamo di raccoglierne il più possibile; poi li

divi deremo equamente. E che? Non ti pare giusto? Offrire

perché sia moltiplicato? Pazzia, follia! Primo, non vedi

più niente tra le mani, e ciò è già una perdita!

Non vai più sul sicuro, rischi soltanto! E poi, chi ti

garantisce che la moltiplicazione avverrà?

Fiducia? Già... e in chi? In Dio? Ma guarda che Dio ti

chiede di fare, di fare! Sarà Lui a fare, dici? Dopo? Non

c’è tempo preciso? Ma guarda che occorre sbrigarsi, c’è

urgenza! Non si può più aspettare! La gente muore di

fame!!! E così, la gente che muore di fame oggi non solo

trova poco sollievo in questa situazione, perché giungono

solo palliativi e scarsi sostegni per debel lare il flagello

della mancanza di cibo; ma anche chi non muore di fame,

oggi muore: sta morendo di fede.

Non crediamo più che è Dio il pane, il vero cibo dell’umanità;

non ci teniamo più a che il nostro cibo quotidiano

sia da Lui santificato; non glielo offriamo più... “Roba

nostra”, diciamo.