Fare i servi
rende nell’avere,vivere da amici
rende nell’essere.
Da quanto tempo tante persone sono al servizio del
Signore! Servono Lui, amando e aiutando i fratelli,
costruendo cose belle e utili, materiali e spirituali, quali
l’amicizia, la lealtà... Eppure, in tutto questo, quell’amicizia
che Gesù richiama come il comando fondamentale
rivolto ai suoi, poco compare, anzi spesso è annebbiata,
non è più così profonda ed evidente, come avrebbe desiderato
Gesù: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli
altri”. Il comando dell’amore si è ridotto, spesso, ad esse -
re una buona regola di convenienza umana: amare gli altri
perché conviene, perché mi sento, così, più me stesso, perché
così il mondo sarà migliore; ci si rivolge sempre più al
fine, e sempre meno alla sorgente di questo amore: Lui:
“Questo io vi comando”.
Abbiamo sentito bene l’ultima parte, dentro di noi,
come un bel principio di convivenza: amarsi gli uni gli
altri; ma sempre più ci allontaniamo da quella realtà che
da senso e fondamento, origina lità a questo amore: Lui.
Siamo diventati così dei buoni e generosi servitori della
causa dell’umanità, gettandoci sempre più a capofitto
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nelle realtà umane, servendo con sempre più dedizione; ci
siamo dimenticati che Lui ci dice: “Non vi chiamo più
servi... ma amici”. Dell’amicizia di Gesù è rimasto ben
poco; servire rende di più: non tanto dal punto di vista dei
soldi... No, no; rende molto quanto al nostro sen tirci realizzati
nella vita, negli ideali che abbiamo di fronte...
Essere servi ci rende soddisfatti, conten ti.
Prevale così, a poco a poco, anche nelle occasioni
migliori, nelle quali siamo chiamati a essere noi stessi, lo
stile della servitù: siamo pronti a soddisfa re le esigenze, a
venire incontro ai bisogni di que ste e di quelle persone,
organizziamo bene le nostre cerimonie, le nostre preghiere
e i nostri canti, da buoni servi.
L’amicizia con Gesù, che dia senso a tutto...? Sì, come
un ideale lontano, sempre più lontano... È passato in
secondo piano; prima l’essere servi, all’essere amici ci
penseremo domani. Quando?
Domani... Lo ripetiamo ogni giorno. Ci siamo fermati.
Non siamo cattivi... Diamo perfino la nostra vita, se è il
caso, pur di aiutare fino in fondo gli uomini nel bisogno,
pur di non rinunciare ai nostri propo siti di bene; ma lo facciamo
senza l’amicizia con Lui! E allora, che giova? Che
giova, se non c’è la Carità, l’Amore? Sì, noi abbiamo carità
e amore; ma quelli con le minuscole. Non c’entrano con
il rapporto di amicizia con Gesù, sono cose nostre; le
migliori, sì... Ma cose nostre. L’Amore è diventato il
nostro amore. La Carità si è ridotta alla nostra carità. Dalla
persona: Gesù, Carità e Amore, siamo passa ti, poco a
poco, a noi, carità e amore. Abbiamo rimpicciolito ciò che
è destinato ad esse re immenso.
Abbiamo ristretto Gesù: da Amico a Padrone. E noi
siamo i suoi servi, benvoluti e ben pagati... Ma semplice93
mente così; non amici. Che giova allora agire da servi,
buoni servi con un buon padrone, se manca questo rapporto
di amici zia che tutto sostiene?
Spesso, entrando nelle Chiese, sempre più spesso, si
incontrano i funzionari di Dio e degli uomini; sem pre
meno i suoi amici e gli amici dell’umanità. Preti, cristiani...
Sì, fanno le cose bene, servono bene sia Dio che gli
altri... Ma manca qualcosa di importante, un senso profondo
a tutto ciò. Sì, sappiamo perché lo fanno: perché danno
la loro vita per Dio e per gli altri, perché vogliono miglio -
rare le cose, perché vogliono che la speranza trion fi sempre
nel mondo... Ma tutto ciò da dove parte? Non si vede
più da dove traggono alimento, da dove partono la loro
vita e le loro convinzioni; non ci rimandano più alla sorgente
di tutto; buoni, otti mi servi, ma non certo amici.
Hanno scelto di dare tutto per Lui e per gli uomini... Ma
non si ricordano di quando Gesù disse: “Non siete voi che
avete scelto me, ma io ho scelto voi”?
In buona fede, si è amato molto, sempre di più, lasciando
perdere il fatto di sentirsi amati, sempre di più. L’amore si è
cominciato a costruirlo, mentre ci si è dimenticati che c’è già
ed Esso è un dono, un lasciarsi scegliere. Amarsi come Lui
ci ama, partendo dall’esperienza con Gesù; non amare come
noi vorremmo, anche con le più belle intenzioni, ma sempre
secondo i nostri progetti e schemi. L’amore non è la caratteristica
dei cristiani: “Non fanno così anche i pagani?”. Solo
l’amore riferito a Cristo, che parte dall’espe rienza con Lui,
come Lui ci ama, solo questo è la caratteristica dell’essere
cristiani, cioè amici di Dio. Ogni altra forma d’amore, non è
certo contrappo sta a Lui; soltanto, da Lui si allontana: dal
poter essere amici si resta semplicemente al fare i servi...
Con tante soddisfazioni, ma senza l’amicizia con Lui.
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Parlare di queste cose ai cristiani sembrerebbe fuori
luogo; eppure, a pensarci bene, dovrebbe essere proprio
così: loro, i più vicini alla possibilità del l’essere amici,
sono proprio loro a limitarsi ad esse re i servi; non hanno
accolto in pieno, con genero sità, questa possibilità di amicizia.
Si sono messi a servire, e la funzione di servi li ha
impegnati a tal punto da non permettere più a loro di
approfondire il loro essere servi: proiettati verso l’amicizia;
ora, continuano a fare i servi, e servono bene... Ma si
stanno perdendo l’occasione miglio re: essere amici.
“Vi ho fatto conoscere tutto ciò che ho udito dal Padre
mio”. I cristiani non sono ancora coloro che sono dispo sti
a lasciarsi donare questa conoscenza come un dono; per
essi, il fatto di conoscere è ancora un’at tività da servi:
occorre conoscere Dio, impegnarsi a conoscerlo... Non
certo mettersi nella disposizione a lasciare che sia Lui a
donarci questa conoscenza. E così il cristiano sta diventando
sempre più colui che conosce le cose di Dio, e sempre
meno colui che conosce, nell’esperienza, Dio.
Conoscere... Ci siamo messi a conoscere il Signore,
dimentican doci che per “conoscere” la Bibbia, cioè il
messag gio di Dio, non intende questa attività umana, ma
soprattutto l’esperienza profonda della conoscen za:
l’amore, il lasciarsi conoscere fino in fondo nel lasciarsi
amare. Abbiamo cominciato ad amare, e continuiamo a
farlo, dimenticando la realtà più importante a fon damento
di tale amore: il lasciarci amare da Lui: “Non voi avete
scelto me... Vi ho fatto conoscere...”.
Questo modo umano d’amare, certo ci soddisfa di più,
e sembrerebbe darci anche di buoni risultati; ma - Gesù ce
lo ricorda - non è l’amore del Vange lo, non è quello che
Gesù propone ai suoi...
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Questo nostro non è più una proposta, ma solo una
bella attività. L’amore di Gesù proposto ai suoi non dà
quelle soddisfazioni e quella contentezza che ci si aspette -
rebbe... Anzi, spesso dà il contrario delle aspettative
umane: “...Morire per i propri amici”; l’amore portato
come proposta da Gesù reca la gioia e la serenità che permette
ai suoi di non essere legati a nulla, nemmeno alla
propria vita, tranne che a questo stesso Amore, che si rivela
di nuovo, ora, essere non un bel principio, ma il rapporto
tra Gesù e i suoi.
Chi muore per i propri amici è certo un uomo buono,
onesto e generoso; ma l’amore cristiano è giungere fin al
punto di morire per i propri amici perché Gesù muore per
noi, e vivendo in noi il suo Amore, dà un senso profondo
a questo morire.
Si muore, da cristiani, non per un principio di umanità,
ma perché il rapporto vivo di conoscenza con Lui ci dà il
senso per fare ciò.
Morire per un’idea è una realtà grande; ma morire per
un’idea fatta carne, Gesù, questo significa vive re la morte
fino in fondo come una realtà viva, e ciò è l’ottimo: “Non
c’è amore più grande di que sto”. Nell’accoglienza di questo
rapporto vivo d’amore tra Gesù e noi, ognuno riscopre
come il suo “fare servizio” a nome di Dio non sia un’attività
limita ta, ma dove il cristiano è chiamato ad aprirsi, nel
suo essere il servo, a Dio, che lo rende sempre meno servo
e sempre più amico. Dal servire da servi, si passa allora a
un servire da amici.
Servire allora diventa una realtà di partecipazione, non
nel senso di fare una parte di cose, ma nel più profondo
significato di essere parte viva dell’espe rienza del
Padrone: il Padre.
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Facendo parte di lui, conoscendolo attraverso il lasciarsi
conoscere da Lui, ognuno può iniziare a servire regnando:
servire da padrone, cioè come Dio, accanto a Lui,
come suo viceré: servire è regnare. Servire...
Ci pone di fronte alla scelta di fondo: o noi, o Dio.
Scegliere di servire facendo i servi, limitandoci cioè a
essere noi a dirigere questa realtà, a costruire il servizio
secondo le attese e i progetti umani... Oppure, lasciarci
scegliere; scegliere che sia Lui a far sì che il nostro essere
servi si riempia, poco a poco, dei significati nuovi che la
Sua presenza ci suggerisce: servire da amici.
Per servire, noi, abbiamo solo bisogno delle nostre
forze e delle realtà dell’evidenza; per lasciare che siamo
scelti come servi, occorre la fede nell’amici zia nuova che
si va instaurando tra noi e il padro ne diventato Padre.
Servire quindi ci pone di fronte a un bivio: farlo a partire
da noi stessi, farlo a partire da Dio. Servire è una realtà
ambigua, finché non si defini sce come un servire da
servi o un servire da amici. La proposta di Gesù è: “Non
più servi, ma amici”. Egli ci invita a salire, a non restare
lì, a fare i servi, mentre il Padrone ci invita addirittura ad
essere figli. Ed ecco balzare di fronte alla nostra attenzione
l’immagine di quel famoso Figlio Prodigo, che vivendo
come servo, richiamando la realtà della vita e della casa
lasciata, dice: quanti servi nella casa di mio padre vivono
bene, e io qui muoio di fame!...
Perché stare a morire di fame come servo inappa gato,
dice a se stesso, mentre c’è di fronte la possi bilità di essere
figlio? Tornerò da mio Padre... Ecco il passaggio: dal
fare il servo, dal fare da sé... All’essere con il Padre, come
servo, ma con il Padre: ‘Trattami come uno dei tuoi servi”,
dirà il figlio ritornando al Padre.
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Tornare al Padre: ecco la realtà da recuperare, anche
per noi. Non attendere che tutto ci cada addosso, come al
Figlio Prodigo ridotto a cibarsi delle ghiande dei porci, ma
accogliere l’invito a tornare dal Padre, a seguire il comando
di Gesù: “Non più servi, ma amici”.
Tornare dal Padre non perché siamo dei grandi peccatori,
non perché abbiamo apertamente rifiu tato Lui... Ma
perché facciamo bene da soli: ecco il motivo.
Tornare da Lui per recuperare la nostra grandezza, per
non restare chiusi sempre più tra le nostre realtà che diciamo
realtà di Dio, ma che sono sol tanto nostre.
Tornare alla fonte... Smetterla di restare giù sotto a bere
l’acqua inquinata che ci rovina. Sì... Sempre acqua, in
apparenza... Ma questa è inquinata.
L’Amore è la sorgente dell’amore. Senza l’Amore,
l’amore stagna. Ecco risorgere qui l’osservazione che ogni
cristiano ancora accoglie con un po’ di distacco: smetterla
un po’ di fare, cominciare un po’ di più a essere: smettere
di fare i servi, cominciare ad esserlo. Servire può diventare
veramente regnare. “Non c’è amore più grande”.
Potremmo, giocando un poco sulle parole, rivedere la centralità
dell’Amore proposto da Gesù, risen tendolo come: il
mio Amore è questo: comandatevi gli uni agli altri come
io ho comandato voi. Già, l’amore cristiano come un
comando, come un’autorità, una responsabilità grande, un
regna re; il cristiano comanda, trionfa. Come?
Con la logica illogica del servire. Logica che, in mano
nostra, anche dei cristiani più ferventi, non avrebbe senso
ed è destinata all’an nientamento e alla sconfitta.
Logica che, nelle mani di Dio, diventa il recupero del
servire come Lui, con Lui, per Lui; il suo destino allora,
pur attraverso le illogicità dei percorsi, è sempre giungere
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alla vetta, al trionfo, a regnare, ad essere servi-re. Servi-re
è regnare. L’amore come esperienza con Dio non annienta
mai, innalza e salva, anche là dove l’apparenza inganna.
L’amore con Dio non dà più autorità, ma fa essere
autorità, anche là dove si è chiamati a servire nel più basso
dei modi. L’amore riferito a Dio e alla sua esperienza con
noi porta sempre verso l’alto, da dove è venuto; non cade
mai, non scade, cresce. Il suo riferimento di base non
siamo noi, neppure noi cristiani, no.
Il suo punto d’inizio è Dio Padre; se lo riducessimo ad
amore nostro il suo punto d’inizio sarebbe sol tanto Dio
Padrone. Dio Padre, noi amici. Dio Padrone, noi servi.
“Non più servi, ma amici”.
Il comando dell’amore non si impone col dare autorità,
ma si propone con l’essere autorità attra verso il servire
con Gesù. L’amicizia permette questo.
Se sei amico di Gesù, ti fidi di questo amore; altri menti,
ti fidi del tuo. Se scopri questo amore, non esiterai a essere
auto rità per gli altri e li servirai come Lui ti ha coman -
dato; se non lo scopri, questo amore, continuerai a voler
imporre l’autorità sugli altri e a servirti di loro per poter
comandare.
Riscoprire Dio che ama servendo e che servendo regna,
è compito prima di tutto dei suoi discepoli, che, tra le
vicende della vita, spesso si lasciano ten tare dal regnare da
sé piuttosto che proporre il Regno di Dio.
Scegliere il regno: ecco il compito del cristiano: il
Regno di Dio o il regno dell’io. Il cristiano non deve scegliere
il regno dell’amore, ma il suo fondamento.