Il riso fa buon sangue...
Il pianto rende buona l’anima.
Oggi, piangere è ormai una realtà da bambini, che nel
mondo degli adulti appare sempre meno; forse è un atteggiamento
ritenuto inutile, oltre che infantile, e poco in
conformità con la realtà seria e impegnata del mondo.
Si piange sempre meno, anche se si soffre sempre di
più, e quella tristezza che invade sempre più i cuori non fa
che richiamare pianto e lacrime... Ma ci si trattiene, o si
cerca di ovviare, tra le cose da fare o attraverso i diversivi
che si trovano attorno; così, oggi non si sa quasi più cosa
significhi piangere. Piangere...
Città del Vaticano, Residenza Papale.
Una sera d’estate.
Monsignor Aldo Bucci, segretario di Sua Santità, rientra,
attraverso i giardini pontifici, dove s’è un poco soffermato
a discorrere con alcuni sacerdoti amici, e accede
all’appartamento papale. È finita la sua giornata di libertà;
l’ha trascorsa insieme ai parenti, che si sono riuniti numerosi
attorno ai suoi genitori, che hanno festeggiato il cinquantesimo
del loro felice matrimonio.
E ora, mentre sale le scale che conducono lassù, rivede
i lieti momenti della giornata trascorsa: la messa celebrata
il mattino, in quella piccola chiesetta dove egli si recava
da piccolo, guidato per mano da loro; i volti di tutti quei
parenti, tanti ormai un po’ lontani nella sua amicizia, per
forza di cose, per il lavoro, per la diversità di situazioni e
di condizioni... Qualcuno, in questa occasione, che gli
aveva confidato anche la lontananza della fede... Ma in
questa occasione, era stato bello ritro vare tutti loro riuniti,
in quella chiesetta, stretti attorno all’anniversario di quei
due vecchietti gra zie ai quali, in quella giornata, tutte le
divergenze si erano dimenticate e si era creata più amicizia.
E poi, il pranzo da nozze, lassù ai colli, in quella cascina
del cugino dottore, che era stata allestita per l’occasione
in modo principesco... La compa gnia, il cibo, la musica
della fisarmonica che lo aveva convinto anche a un
ballo con la vecchia zia, e le nuove notizie liete, circa il
futuro di quelle famiglie...
E, il pomeriggio, aveva anche sferrato qualche calcio al
pallone, con i nipoti, che lo ave vano messo a capo di una
squadra costituita alla meglio, per potersi divertire... Già;
ora, salendo quelle scale, ripensava a quanto tempo era
tra scorso tra impegni e preoccupazioni, tra tutte quel le
realtà da fare da adulto, che non gli avevano permesso da
chissà quanto di potersi divertire così, come aveva fatto in
quel giorno.
Sorrideva, dimenticando sempre più di essere il segretario
del Papa, immedesimandosi ancora di più nel suo
ruolo di capitano della squadra di calcio dei nipoti, considerandosi
bambino accanto a loro... Attraversando il corridoio,
si mise a rifare il calciatore, e immaginandosi di
fronte il pallone, sorridendo richiamava di nuovo gli altri
immaginari compagni: “Dai, corri avanti!... Passa!..”.
Percorse saltellando tutto il lungo corridoio, sven -
tolando qua e là la veste, sferrando calci a quel pallone
immaginato, che gli sfuggiva sempre, fin ché arrivò davanti
alla porta dello studio del Papa. Si fermò, la osservò un
attimo, guardò in terra, al pallone che non c’era, poi sferrò
l’ultimo calcio, trattenendo il grido: “Goal”.
Si rimise dritto, come riassumendo la figura dell’a -
dulto, si rimise a posto la veste, si riordinò i capelli stirandoli
con le mani, poi, dopo essersi dato un’ul tima spolveratina
alle maniche della tonaca, bussò: Toc! Toc!.
“Avanti” rispose debolmente la voce del Papa. Don
Aldo entrò; il Papa stava là, a guardare giù dalla finestra,
verso i giardini; non si volse al segre tario, si limitò a dirgli:
“Bentornato, don Aldo”, poi tacque e continuò a guardare
laggiù, come se aves se notato qualcosa di interessante.
Ci fu un momento di silenzio un po’ imbarazzante per
don Aldo, che non sapeva più che dire; il Papa non si girava
verso di lui, ma stava ancora là a guardare giù sotto.
Il segretario allora si ricordò che doveva chiedergli
circa gli appuntamenti del giorno dopo, se tutto poteva
essere svolto secondo il programma stabili to; si sgranchì
la voce, poi disse: “Santità, perdo ni... Quegli incontri di
domani...”. Il Papa si volse a lui, e don Aldo vide quel
volto tri ste, dal quale scese una lacrima, che si fermò tra le
labbra... Un silenzio profondo regnò per qualche istante,
poi il segretario si fece coraggio, e con voce tremante
disse: “Santità... Che c’è... Non state bene?...”.
Il Papa, con gli occhi lucidi, lo osservò per qualche
istante ancora, in silenzio; poi, abbozzando un sor riso e
volgendo lo sguardo a terra, rispose: “C’è qualcosa che
non va... All’anima”. “All’anima, Santità?” chiese timoroso
e imbaraz zato Don Aldo.
“Sì... Alla mia anima”, sospirò il Papa, poi scosse la
testa, evidenziando il suo sconforto.
Il segretario, attonito e sconcertato, non sapeva più che
dire; quella sorpresa lo aveva scioccato non poco: vedere
il Papa piangere, mai se lo sarebbe aspettato; e dopo la
giornata allegra, quella situazione pareva ancor più grave
che mai; la risposta del Papa poi, non l’aveva proprio capita:
qualcosa non va all’anima... Che mai è capitato oggi a
sua Santità? Non voleva pensarci assolutamente, e proprio
per non immagi nare nulla fissò il Papa che, lì di fronte, in
piedi, aveva ora il volto tra le mani e piangeva, come un
bambino, frenando sempre meno i suoi singhiozzi. Don
Aldo avrebbe voluto fare tante cose: prima di tutto, avrebbe
voluto non essere lì di fronte; ma dato che non poteva
non esserci, avrebbe voluto istintivamente abbracciare
quel Papa piangente e sconfortato, ma si riteneva, pensando:
è il Papa! Avrebbe voluto chiamare qualcuno... Già,
ma chi? Far sapere questo a chi?
Avrebbe voluto essere arrivato tardi... Ma era lì, e il
Papa, di fronte a lui, triste e con il capo tra le mani, a singhiozzare...
Lui, sua Santità, il Capo della Chiesa... Ma
che fa? Pensò al fatto che anche il Papa era un uomo come
gli altri, e anche Lui aveva diritto di piangere, e poteva
farlo quando voleva, e se questo era uno sfogo, gli avrebbe
fatto bene, e quindi non c’era altro da fare che lasciarlo
piangere, non disturbar lo in questo momento; il segretario,
ritenendo di essere d’imbarazzo per il Papa con la
sua presenza lì, in quel momento, si volse, e avviandosi
verso la porta, disse: “Santità... Torno più tardi...”. E aprì,
pensando di aver fatto così la cosa miglio re. Ma il Papa lo
chiamò: “No... Non andare... Rimani”. Don Aldo richiuse
la porta, e stette lì, in piedi, attendendo imbarazzato, fissando
il Papa, che dopo qualche istante, riprese: “Vieni,
siediti”.
Il segretario si accomodò nella poltrona; dopo un poco,
anche il Papa si andò a sedere, nell’altra di fronte; a questo
punto don Aldo si accorse che per la prima volta s’era
seduto, non aveva atteso che fosse sua Santità a farlo per
primo; ma quella sera non capiva più niente, era emozionato
e sconvolto, tanto che lui stesso si limitò a dirsi
“maleducato”.
Era la prima volta che lui e il Papa stavano lì, in silenzio,
uno di fronte all’altro; in tutti quegli anni del suo
essergli segretario, mai era successo si tro vassero soli, in
silenzio, così: c’era sempre qualcu no con loro: qualche
Vescovo o autorità, qualche funzionario della Curia...
Anche durante i pasti, i rapporti erano sempre lontani,
attraverso le letture di articoli di riviste e giornali, o guardando
il tele giornale... Il più delle volte, c’era qualche
invitato. Era proprio la prima volta, quella, che erano lì,
uno di fronte all’altro, nel silenzio.
Il Papa si asciugò le ultime lacrime dello sfogo, e volgendosi
al suo segretario gli disse sorridendo: “Che dici?
Che sono matto?”. Queste domande fecero sprofondare
don Aldo nella poltrona: come rispondere?... Ma fu il Papa
a darsi la risposta: “Benvenuta questa pazzia, questo pianto...
E questo segretario!” e sorrise, volgendo in alto lo
sguardo. Don Aldo si riprese, e drizzandosi nella poltrona,
sentendosi ora un po’ più a suo agio, pensò fosse venuto il
momento di dire la sua: “Santità... Che paura! Ma che è
stato? Problemi della giorna ta?...”. “No... Problema della
vita, della mia. Mi sto allon tanando dal centro, dal punto
centrale e fonda mentale del mio essere Papa... Mi dirai: te
ne accorgi ora, dopo tanti anni? Sì... Meglio tardi, che mai.
Vedi, il problema è questo: mi sono accorto che mi
manca... Dio”.
A queste parole il segretario cominciò a sudare; ma che
dice il Papa, sta farneticando? Ma si accorge almeno di ciò
che sta dicendo? “E tu mi dirai - proseguì il Papa - se sono
matto per davvero, a dirti queste cose. Può darsi... Ma il
fatto è questo”. “Santità... Come può dire questo...?”.
“Già... Proprio lei, che è il Papa? Proprio io, il responsabile
primo della Chiesa, come posso dire ciò? Proprio
io, che da sempre sto immerso nelle cose di Dio, nella sua
Chiesa, nei suoi preti e al quale il Signore ha affidato il
suo popolo... Come posso dire questo io... Che celebro,
che prego ogni giorno, che medito e che predico, che
ammaestro e insegno... Com’è possibile?”.
“Ma Lei, Santità... È vicino a Dio... Non penso che Lei
possa mai mettere in dubbio questo...”. “Eh, caro Don
Aldo... È Dio che è vicino a me, non io a Lui; anzi, io da
Lui mi sto allontanando, sem pre più... E Lui, che mi sta
vicino, oggi mi stava dicendo proprio ciò...”. “Allude al
suo pianto, Santità?”. “Già... Proprio ad esso”.
A questo punto il Papa si alzò; don Aldo, pronta mente,
fece, come al solito, per seguirlo; ma sua Santità gli fece
cenno, con la mano, che rimanesse seduto; il segretario,
con un certo imbarazzo, osservò il Papa, che iniziò a passeggiare
lentamen te, avanti e indietro per lo studio. “Non
so se tu ci hai mai pensato, don Aldo, al fatto che, tanto
immersi nelle cose di Dio, ci stia mo dimenticando di Lui.
Non è più il nostro cen tro Lui... Lo stanno diventando le
sue cose... Non Lui.
Prova ad andare tra le persone che lavorano ogni giorno
qui, tra noi, nel cuore della cristianità: fanno le cose
bene, parlano di Dio e di tutti i pro blemi annessi e connessi...
Ma non è più Lui il cen tro, il riferimento. Non voglio
giudicarli... No... Voglio solo dire che sono essi stessi a
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farmi capire ciò che ci manca: Lui. E se guardo a me,
impegnato, tu lo sai bene, a fare tutto in nome suo... Pieno
di impegni per Lui, sto dimenticando proprio Lui”. “Non
capisco, Santità”. “Sì... Non è Lui il centro, ma io, noi, la
Chiesa... Stiamo rischiando di essere noi il centro da cui
parte tutto, anche Lui. Questo pianto me l’ha chiarito...”.
“Da cosa se n’è accorto, Santità?”.
“Dal fatto di essere solo... Già, solo: in mezzo a tutta
questa gente, non parrebbe possibile; ma è proprio così.
Mi sono accorto che è sempre meno presente, nel rapporto
con gli altri, quell’anima che è Lui, che da senso ad ogni
rapporto ed incon tro; ogni incontro con gli altri è divenuto
sempre più un mio impegno, una mia realtà, un mio
fare... Lui c’entra sempre meno, io sempre più... E così,
ogni realtà si è andata esaurendo, proprio perché partiva
da me stesso e non da Lui. Lui è divenuto sempre meno
trasparente, io sempre più evidente. E così vivendo, ho
vissuto sempre più la mia solitudine, fino ad oggi, fino a
questo momen to del pianto che mi ha lucidato gli occhi e
mi per mette di vedere”.
“Ma... Le celebrazioni... Le meditazioni... La pre -
ghiera...”. “Belle, come tante altre cose... Ridotte a strumenti
per far emergere soltanto il mio io... Mi ci stavo abituando
bene, tra l’altro... Non mi sarei certo proprio più
reso conto se Lui...”. Il Papa si fermò un attimo, e si volse
al suo segre tario. “Sinceramente, dimmi, questo discorso
per te è comprensibile o ti pare proprio solo un assurdo?”.
“Beh... Mi pare d’averne compreso la gravità; il fatto che
queste osservazioni vengano proprio da lei, Santità... È
questo che mi lascia alquanto per plesso, circa la considerazione
che ciò che Lei ha sottolineato sia stato un male...
Come può Lei aver fatto il male, in questo caso?”.
“No, non ho fatto il vero e proprio male come trasgressione,
ma ho lasciato che il bene soffocasse, non fosse vissuto
appieno. E il discorso viene da me, proprio perché mi
è stata affidata tanta gra zia, quindi tanta responsabilità, nel
trasmettere la presenza di Dio... Quella presenza della
quale, in prima persona, più di ogni altro, sono respon -
sabile. Il discorso nasce dal cuore del cristianesimo, pro -
prio perché nel cuore del cristianesimo sta la possi bilità di
recuperare tutto quanto... Da qui, da dove si dirigono le
realtà cristiane”. “Che farà ora, Santità?”.
“Nulla di eccezionale... Tutto è già stato fatto, attraverso
l’esperienza di oggi, del mio pianto e del tuo ascoltarmi.
Ora la via è tracciata, tutto a poco a poco si rinno verà,
secondo la Sua volontà; l’importante è che Lui ora sia
veramente presente come il centro di ogni realtà. Partirò
dal rinnovare me stesso, caro don Aldo... Il Signore penserà
al resto”.
“Mi pare, Santità, di ascoltare nelle sue parole l’in vito
a una conversione”.
“Eh, sì, don Aldo, proprio così... Solo che prima io
facevo soprattutto questo discorso agli altri, ora lo vivo
prima di tutto su me stesso. Il Signore mi sta chiedendo di
recuperare le gioie della fede dei pic coli, che stavo dimenticando
di considerare, non attorno, ma dentro di me”.
Il segretario si alzò e si avvicinò a sua Santità: “Grazie,
Santità, di questa testimonianza”.
“Grazie a te, don Aldo, della tua presenza in que sto
momento, che mi ha permesso di manifestare me stesso
nella profondità, facendo riscoprire accanto all’inadeguatezza,
la gioia di essere un cri stiano, chiamato a servire la
Chiesa qui, come Papa”.
Il Papa prese tra le sue la mano del segretario: “Ora va’.
Va’ non più da segretario, ma soprattut to da amico, da fratello.
Grazie ancora, don Aldo, grazie!”. Don Aldo arrossì;
fece un inchino e si incamminò fuori, ripensando alle
parole del Papa, al suo pian gere, alla sua nuova amicizia
con Lui. Sì, il Papa ha proprio ragione: troppo interesse su
noi stessi, che ci impedisce di vedere ancora la presenza di
Dio. Entrato in camera, don Aldo si mise alla fine stra... E
mentre scrutava il cielo buio, dai suoi occhi partirono le
lacrime... Sì, le lacrime del Papa.